Quanto è alta, in Italia, la cultura dei servizi davanti alle famiglie con due mamme o due papà? La risposta migliore, per Elisa Dal Molin, è “dipende”. Dipende dalle città, da quanto le associazioni collaborano con le istituzioni, dalle sensibilità personali. Variabili che rendono la situazione – in assenza di una legge che riconosca le famiglie omogenitoriali – assai eterogenea e per questo complessa. Un quadro che verrà tracciato venerdì 8 febbraio a Bologna durante l’evento formativo “Parole e pratiche per includere. Le relazioni tra servizi e famiglie LGBT+”. Evento al quale Dal Molin, che fa parte dell’associazione Famiglie Arcobaleno, porterà la propria testimonianza di donna legata sentimentalmente a una compagna che, in quanto madre non biologica di loro figlio, ha ottenuto la stepchild adoption (adozione del figlio del partner) ricorrendo al Tribunale.

“Al di là di quanto un pediatra o un insegnante possa essere preparato e attento e chiudere uno, anzi due occhi davanti a quello che per legge non si può fare – spiega Elisa – oggi a complicare le cose è il fatto che molte delle pratiche burocratiche si presentano online: se la situazione familiare non rientra nelle caselle prestabilite, è un problema. Porto l’esempio dell’Inps: per quanto il Tribunale abbia riconosciuto che mio figlio ha due mamme, me e la mia compagna, richiedere congedi o assegni familiari è ancora impossibile, a meno che non si vada fisicamente allo sportello a spiegare il caso, sperando di incontrare qualcuno di disponibile”.

E di queste situazioni, anche in passato, alla famiglia di Elisa ne sono successe parecchie: “Prima dell’ottenimento della stepchild dovevo firmare la delega per autorizzare la mia compagna ad andare a prendere il nostro bambino dal nido o a portarlo a fare le vaccinazioni. Questioni che mi hanno spinta a battagliare per ottenere dal Comune di Bologna dei moduli per l’autocertificazione delle famiglie omogenitoriali che sono a oggi unici in Italia. Ho trovato grande apertura in questa direzione, una direzione che non scarica sulle singole scuole la responsabilità di decidere il da farsi e va, nei fatti, a riconoscere alle persone stessi diritti e stessi doveri”.

Solo con una legge nazionale, chiaramente, la situazione potrebbe essere sanata una volta per tutte: “Le storie delle coppie come la nostra sono alle stregua delle storie della coppie eterosessuali che ricorrono alla procreazione medicalmente assistita con donazione di gameti. Così come, nel loro caso, il padre firma il riconoscimento del figlio che verrà, allo stesso modo viene chiesto a noi una doppia responsabilità quando andiamo nelle cliniche in Spagna o in Olanda. Peccato che, una volta arrivate in Italia, il genitore non biologico scompaia. La nostra forza sono le due sentenze, quasi concomitanti, di Bologna e Prato, che hanno sancito l’obbligo – da parte dei sindaci – di trascrizione dell’atto di nascita dei bambini nati all’estero da genitori dello stesso sesso”.

Il resto potranno farlo le opere di sensibilizzazione come il convegno di Bologna: “Può far sorridere, per esempio, che al corso pre-parto ci fosse una sorta di smarrimento per il quale non si capiva bene se la mia compagna dovesse essere inserita nel gruppo delle mamme o dei papà”.