“Restano indietro”. Alla tipica obiezione secondo la quale troppi bambini di origine straniera impedirebbero ai compagni di italiani di proseguire con il programma e di imparare cose nuove, Graziella Favaro, uno dei punti di riferimento – in Italia – della scuola multiculturale (qui gran parte della sua bibliografia), risponde così: “Come in tutti i luoghi comuni, c’è un pezzetto di verità e c’è molta generalizzazione. Sul primo versante possiamo dire che è vero che alunni arrivati da poco e che non conoscono la lingua possono rappresentare una criticità. Sul secondo, però, va sottolineato come da qualche anno a questa parte, di bambini che arrivano direttamente dai loro paesi grazie ai ricongiungimenti familiari, e che quindi vengono catapultati in una classe senza dire una parola d’italiano, ce ne sono sempre meno“.

Favaro è stata la scorsa settimana a Ravenna per una formazione degli educatori di nido e degli insegnanti di scuola dell’infanzia e scuola primaria dal titolo “Parole di casa, parole di scuola”: “Quando incontro il personale della scuola, sento in genere tre tipi di lamentele: la prima riguarda appunto i pochi casi di bambini e ragazzi che da un giorno all’altro vengono inseriti a scuola, che non hanno conoscenze linguistiche e davanti ai quali i docenti si trovano spesso spiazzati, senza supporto e strumenti adeguati. La seconda riguarda, più nello specifico, l’educazione linguistica in classi sempre più eterogenee. La terza, invece, ha a che fare con la relazione con le famiglie: ‘Come faccio a parlare con quella mamma che non parla italiano?”, ‘come faccio a trasmetterle il significato dell’ambientamento al nido, un concetto così nostro, così connotato culturalmente?'”.

Il punto è che la presenza dei mediatori culturali non è una costante, nella scuola: “L’Europa ha definito quella italiano, di recente, una situazione ‘asistematica’. Io stessa vedo eccellenze e casi, invece, tragici da questo punto di vista. I mediatori sono figure non sempre istituzionalizzate, a volte le scuole non riescono ad averli per mancanza di fondi, altri vengono da associazioni e cooperative. Per fortuna ci sono anche storie molto belle, come alcuni progetti che vedono i genitori stranieri con un alto livello di italiano fare da ‘tutor’ a quelli arrivati da meno tempo”.

Per Favaro i più grandi cambiamenti partono, in ogni caso, sempre dai più piccoli: “L’ultimo dato che mi è saltato all’occhio riguarda il fatto che in Italia frequentano la scuola dell’infanzia il 77% dei bambini stranieri e oltre il 96% di quelli italiani. Se avessi la bacchetta magica alzerei la prima percentuale. Potrebbero succedere cose meravigliose se anche quel quarto di bimbi di origine straniera che non frequenta iniziasse a frequentare”.