Sempre più genitori e insegnanti, negli ultimi quattro anni, si sono rivolti agli esperti dell’associazione Psichedigitale di Cesena per avere informazioni e consigli sull’uso sempre più intenso, pervasivo e precoce di cellulari, tablet e nuove tecnologie da parte di bambini e adolescenti. Motivo che ha spinto lo psicoterapeuta Francesco Rasponi e i suoi a pensare al “Festival della salute digitale” che apre oggi – per concludersi il 12 febbraio – in vari luoghi di Cesena (qui il programma).
Rasponi, che cosa dicono i dati?
“Da quello che registriamo, lo smartphone viene regalato sempre prima. Non più in seconda o terza media, come qualche anno fa, ma in quinta elementare, se non in quarta. L’età si abbassa per varie ragioni. A partire dal fatto che i genitori sentono il bisogno di controllare i figli e sentire meno la distanza in una società frenetica fatta di individui pieni di impegni, compresi i bambini. Senza contare che mamme e papà sono sottoposti a forti pressioni di conformità che li fa preoccupare se il figlio non ha il cellulare e i compagni sì. Non da ultimo, c’è spesso un’incapacità di dire no e una tendenza ad accontentare e assecondare i figli in ogni loro richiesta. Insomma, anche i dispositivi digitali raccontano molto del modello educativo attuale”.
Che cosa intendete per salute digitale?

“I dispositivi digitali non sono più accessori ma protesi di noi stessi. Mediano infatti ogni aspetto della nostra vita quotidiana. Non solo: sono potentissimi sia in positivo che in negativo, perché se usati bene offrono grandi vantaggi mentre se usati male possono creare problemi. Salute digitale significa non solo evitarne i pericoli ma anche coglierne le opportunità”.
Confine sottile?
“Sottilissimo, direi. Ecco perché nel libro ‘Mio figlio è stato rapito da Internet’ che presenteremo oggi alle 17 alla Malatestiana e il cui titolo prende spunto proprio da una frase che abbiamo sentito dire a un genitore, abbiamo inserito delle linee guida suddivise per fasce d’età, da zero a 18 anni. Lo stesso scopo del Festival è proprio sensibilizzare le famiglie sul corretto utilizzo delle tecnologie”.
Com’è cambiata la sfida di educare, a causa di smartphone e compagnia?
“Noi adulti siamo i primi a staccarci difficilmente da cellulari e tablet, quindi siamo i primi a doverci mettere in discussione: siamo spesso un cattivo esempio, in questo senso, per i nostri figli. E mi ci metto anch’io. Senza contare la difficoltà di capire come fare in modo che i bambini e i ragazzi si regolino nell’uso dei dispositivi. Dare un tempo va benissimo ma bisogna anche che i figli si auto-gestiscano, capendo quando è ora di spegnere senza che siamo noi a dover intervenire, magari arrabbiandoci”.
Oggi si parla di cyber-dipendenze: sarebbe il caso di fermarsi prima?
“Noi siamo ormai specialisti del rapporto tra le tecnologie e lo sviluppo psico-fisico dei bambini e degli adolescenti. Inaugureremo proprio al Festival il primo centro d’ascolto in regione dedicato al tema, un servizio al quale le famiglie possono rivolgersi in caso si interroghino sull’abuso delle tecnologie da parte dei figli o nel caso notino sintomi allarmanti. Il buon senso non basta, oggi serve una cultura digitale specifica. Non c’è bisogno di arrivare alle dipendenze, quindi alla patologia, per chiedere aiuto. A volte, dietro un tempo eccessivo passato allo smartphone c’è un mero problema psico-educativo. Siamo formati per risolvere situazioni ad ampio raggio”.