
Una patologia rara, la sindrome di Kawasaki, un bambino che periodicamente si sente male, il peregrinare dei genitori in ospedali e strutture mediche in cerca di risposte che arrivano solo dopo un lungo travaglio e non poche diagnosi sbagliate o affrettate. A raccontare la vicenda sono Werner e Ivana, una coppia lombarda, in una mail al nostro sito.
I due, assieme al figlio Andrea, per qualche mese hanno girato i vari Pronto soccorso della provincia di Brescia: “Il nostro bimbo con una cadenza di venti/ventidue giorni aveva febbre alta; ogni volta venivamo dimessi con la diagnosi di influenza – spiega il signor Werner -. Mia moglie insisteva nel dire ai medici: ‘Guardate che è Kawasaki’. La risposta è sempre stata: ‘Come fa a dire una cosa del genere senza esami? Ma si figuri’. Mia moglie incalzava riferendo che la conosceva in quanto suo nipote aveva avuto gli stessi sintomi ed era stato salvato all’ultimo momento. Inoltre nella sua famiglia c’erano stati episodi di febbre reumatica che ha sintomi simili”.
Il marito redarguiva pure la moglie dicendole che non ha le competenze per mettere in dubbio le diagnosi dei medici: “Ma, ahimè, mi sbagliavo….“, dice oggi Werner. A maggio 2012, all’ennesima febbre persistente (quasi 41) con conseguente cura inefficace a base di antibiotici, scatta il ricovero nel Pronto Soccorso di Desenzano: una dottoressa, anche se con un po’ di scetticismo, acconsente a fare delle indagini per la sindrome di Kawasaki, per scrupolo più che altro. Dopo qualche giorno, invece, arriva la conferma: si tratta proprio della vasculite infantile che in Italia colpisce 14 bambini ogni centomila, in prevalenza alle arterie coronarie.
Comincia così la terapia di immunoglobuline e la somministrazione di un dosaggio potente di cardioaspirina: “La Kawasaki, ci dicono, ha lasciato come suo ricordo una ‘leggera’ dilatazione della coronaria ascendente – ricorda il padre – Ci viene inoltre riferito che mio figlio deve assumere una dose di cardioaspirina e che questa verrà sospesa quando si avranno due visite negative, cioè due visite in cui la coronaria risulterà nei parametri normali. A gennaio 2013 segue visita dal cardiologo il quale mi dice che bisogna prescrivere dei gastroprotettori al bambino in quanto dovrà assumere una dose maggiore di cardioaspirina e che questa sarà a vita! A vita?! Eppure il referto di dimissioni non diceva così!”.
Nel frattempo si verificano anche altri disagi, secondari ma non meno importanti: “Ci informiamo per le esenzioni e qui inizia una partita a ping pong tra Asl e ospedale e vengo pure a scoprire che l’ospedale di Desenzano doveva indirizzarmi al centro malattie rare dell’ospedale civile di Brescia”. Esasperato, il padre interpella il pediatra di base chiedendo quali sono i centri migliori per la cura della malattia. Il pediatra consiglia il Bambin Gesù di Roma, il Gaslini di Genova, il Meyer di Firenze e il professor Francesco Zulian direttore della Reumatologia pediatrica dell’Azienda ospedaliera di Padova. Dopo altre peripezie a Brescia, i genitori decidono proprio di affidarsi allo specialista veneto il quale, esaminata la documentazione, “rimane sconcertato sulla frase ‘leggera dilatazione’ asserendo che il referto deve basarsi su misurazioni precise e non su termini vaghi”.
Comincia un ciclo di visite prima semestrali, poi annuali e, finalmente, si vedono anche i primi miglioramenti: “A maggio 2016 la cardioaspirina viene sospesa in via provvisoria fino a novembre – prosegue il signor Werner -. A novembre, poi, viene sospesa definitivamente e ci fissano il successivo controllo per il mese di ottobre 2017. Tutto a posto e prossima visita in autunno del 2019. Finalmente si intravede uno spiraglio ma mia moglie ed io abbiamo passato un inferno in questi anni“. Un ringraziamento speciale va agli esperti padovani: “Solo dal professor Zulian e dalla dottoressa Martino abbiamo avuto risposte sicure, alta professionalità nonché tanta, tanta, tantissima disponibilità ed attenzione nei confronti del nostro Andrea”.
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