Matteo Bussola

“Non ho scritto questo libro per santificare gli insegnanti e criminalizzare i genitori. L’ho scritto perché consapevole che, quando una relazione non funziona, bisogna partire da se stessi, mettersi in discussione, provare a cambiare le cose almeno da un lato, per vedere se cambia tutto”. Matteo Bussola, il fumettista scrittore di “Notti in bianco, baci a colazione”, sarà questa sera alle 19.15 alla sala della Piazza del Palacongressi di Rimini per l’evento speciale del convegno del Centro studi Erickson “La qualità dell’inclusione scolastica e sociale”. Dove presenterà il suo “Sono puri i loro sogni. Lettera a noi genitori sulla scuola” (Einaudi).
Matteo, quanto si sente tirato in ballo, rispetto alle responsabilità genitoriali che chiama in causa nel suo ultimo libro?
“Non sono un pedagogista né uno psicologo, non sono né Recalcati né Crepet. Sono un genitore qualunque che fa una ricognizione dall’interno. La lettera è rivolta a noi genitori, non me ne chiamo fuori. Molte delle storture che stigmatizzo sono cose che ho fatto anche io, so bene di cosa parlo”.
Il paragone con il periodo in cui lei andava a scuola rischia di rievocare il classico “si stava meglio quando si stava peggio”?
“No, il mio non è uno sguardo nostalgico. Ma è facile notare come un tempo, se tornavi da scuola con un brutto voto o una nota della maestra, a casa ti prendevi il resto. Mentre oggi i genitori mettono spesso in discussione l’autorità scolastica, rimproverando gli insegnanti in quel modo che trovo spesso odioso: andando a parlare direttamente con i dirigenti scolastici, che a volta per non avere grane assecondano i genitori, non essendo nemmeno nelle condizioni di proteggere e difendere i propri dipendenti”.
Che danni rischiamo di fare, secondo lei, ai nostri figli?
“Credo che noi genitori, lo dico da padre di tre figlie, abbiamo ottimi motivi per fare quello che facciamo: amiamo i nostri bambini, vogliamo proteggerli, abbiamo paura per loro. Ma stiamo andando nella direzione sbagliata: vivere al posto loro. Stiamo sempre un passo avanti, quando invece sarebbe auspicabile stare un passo indietro. Lasciarli cadere e fare in modo che si misurino col mondo non vuol dire non fare il loro bene. La sensazione, dunque, è che la vecchia scuola – con tutti i suoi difetti e metodi discutibili – ottenesse l’importante risultato di renderci autonomi. La recente polemica sul fatto che si debbano andare a prendere i figli all’uscita dalle medie parla proprio di questo: di ragazzini sempre più dipendenti da noi”.
Lei tira anche fuori il grande tema del rispetto per gli altri: un valore che non trasmettiamo ai nostri figli criticando sempre e comunque la scuola…
“Il grande paradosso è che erigendoci a paladini dei nostri figli, siamo diventati i difensori dei loro interessi. Ma il loro primo interesse sarebbe imparare il rispetto per le figure alle quali abbiamo delegato la loro educazione e la loro istruzione. Quando si delega una cosa così centrale, o lo si fa a 360 gradi o non lo si fa proprio: non lo si può fare a metà. Facciamo un danno terrificante, ai nostri bambini, se li mandiamo in confusione rispetto alla persona alla quale devono dare ascolto”.
Quanto c’entra, con tutto questo, il nostro irreparabile senso di colpa?
“Secondo me è una delle spiegazioni della rabbia e dell’aggressività che abbiamo sviluppato verso la scuola. Noi genitori abbiamo poco tempo da passare coi figli, dobbiamo lavorare e guadagnare, realizzarci. Ma il mondo che abbiamo creato forse non ci piace, perché siamo stressati, schiacciati da mille responsabilità. E così ci arrabbiamo con chi, il tempo con i nostri figli, lo passa. Come se, per recuperare in autorevolezza, bastasse alzare la voce e far sentire la nostra autorità”.
Come si ripercuote questo atteggiamento nelle famose chat dei genitori?
“Ha il suo esito peggiore. Io e Paola, la mia compagna, non avevamo WhatsApp. Ma a un certo punto abbiamo capito che venivamo tagliati fuori da ogni comunicazione: la gita, il regalo alla maestra. E così ci siamo aggiornati. Quando lo abbiamo installato, si è spalancato l’inferno. Perché da grandi occasioni di confronto e sviluppo dei tempi, le chat sono il luogo dove non si mettono a fuoco le questioni, dove pullulano faccine e ‘buongiorno’, dove la polemica è dietro l’angolo, dove vengono postate ricette di torte e dove, se c’è la doppia spunta blu ma non hai ancora risposto alla domanda, vieni copnsiderato un collaborazionista del gruppo maestre. Io, le chat, sto semplicemente imparando a subirle, più che ad accettarle”.
Coinvolgendo prevalentemente i genitori, teme che le responsabilità della scuola non vengano considerate?
“Io sono sicuro che anche gli insegnanti abbiano una parte di responsabilità. Che ce ne siamo di poco preparati, poco motivati, che tirano a campare. Lasciando da parte il fatto che questa è anche la consguenza di una scarsa considerazione della figura del docente, che da faro della comunità è diventato un furbetto che lavora quattro ore al giorno, sono convinto che invece che continuare a puntare il dito, sarebbe buona cosa metterci in gioco come genitori, esercitarci a ridare fiducia alla scuola. Il che non significa non vigilare. Significa ricordarsi il confine tra presenza e invadenza”.