“Sembra impossibile da credere ma per me Federico è una presenza, non un’assenza. Sarà perché gli ho dato un volto, perché ho dato retta all’ostetrica che mi diceva di vederlo, anche se era già morto”. Francesca, 44 anni, impiegata forlivese, sta aspettando la chiamata del Tribunale per i minorenni di Bologna per l’abbinamento, la tappa dell’iter adottivo in cui alla famiglia viene finalmente proposto un bambino. Il 27 dicembre del 2013, a otto mesi di gravidanza, ha perso il figlio che cercava da una vita, dopo aver affrontato numerosi cicli di fecondazione assistita. E domenica 15 ottobre, a partire dalle 15,30, sarà nel Chiostro di San Mercuriale a Forlì (piazza Saffi 17) insieme ai volontari di CiaoLapo Onlus in occasione del Babyloss Awareness, la giornata della consapevolezza sulla morte perinatale.
Francesca, come ci si reinventa la vita dopo un’esperienza come la sua?
“Con tanta forza d’animo, un marito meraviglioso come il mio, un percorso di psicoterapia e il sostegno dei genitori che ho incontrato grazie a Ciao Lapo. Incontri nei quali mio figlio non era più un tabù, dove potevo piangerlo senza nascondermi e farlo insieme a chi sapeva bene cosa stessi attraversando”.
Come inizia, la sua tragedia?
“Fino alla morfologica era andato tutto bene. Ero stata sempre super monitorata. Si sa che i bimbi concepiti grazie alla Pma possono dare più problemi in gravidanza. Ero tranquilla, stavo bene, Federico cresceva. All’ecografia successiva, però, era emerso un ritardo di crescita. Avevo anche poco liquido amniotico. Rimasi a casa dal lavoro, stando molto riguardata. Fino a che, a fine 2013, al controllo mi dissero che era tutto rientrato nella norma. Ma il 7 gennaio, dopo una notte di malessere, andai a farmi vedere: Federico non c’era più”.
Si è fatta dei sensi di colpa, allora?
“Sì, mi incolpavo di non avere protetto mio figlio. In effetti nei giorni precedenti l’avevo sentito muoversi poco. Ma in casa eravamo presi da altro, qualche giorno prima era morto mio suocero. E forse avevo dato poco peso a quelle sensazioni. Ma non me la sono mai presa con la mia ginecologa, anzi. Continuo ad avere lei come medico, credo di essere stata seguita sempre bene, con lei ho sempre avuto un bellissimo rapporto. Il lutto che abbiamo vissuto, ovviamente, è stato pesantissimo: Federico era stato desiderato, io ero già oltre i quarant’anni, come mio marito. E tutto il percorso di fecondazione che avevamo attraversato ci aveva messi molto alla prova, sia come singoli che come coppia”.
Siete stati supportati dall’ospedale, in qualche modo?
“Sì, il Morgagni-Pierantoni ci ha messo a disposizione una psicologa che ci ha seguiti per un anno e mezzo. Ma non mi stancherò mai di ripetere che decidere di vedere Federico, dopo averlo partorito con il cesareo visto che era podalico, è stato decisivo per la mia graduale ripresa: all’inizio non volevo, mi sembrava allucinante l’idea. Poi ho ascoltato il consiglio dell’ostetrica. Lui era già due chili, perfettamente formato. Guardarlo mi ha consentito di attivare il ricordo, che è l’unica cosa che mi rimane. Ogni settimana andiamo al cimitero a fargli visita, abbiamo una foto di lui incorniciata in camera da letto. Oggi posso dire di aver elaborato il lutto”.
Come è cambiata la sia vita, dopo quell’esperienza terribile?
“Io e Fabio abbiamo ricominciato dalle cose che ci accomunavano e che ci facevano stare bene. Dopo un altro tentativo di fecondazione fallito, ci siamo comprati un camper e abbiamo iniziato a viaggiare di più, decidendo poi di sposarci. Poco a poco abbiamo accettato l’idea di non avere figli nostri, un passaggio epocale di cui ho capito l’esito quando mi sono accorta di non avere più voglia di tentare un’altra fecondazione. Come la psicologa ci aveva indicato, ci siamo impegnati a costruire un’altra storia di noi, a scrivere un’altra vita. Abbiamo deciso di procedere con l’adozione nazionale e abbiamo concluso tutto il percorso, durante il quale siamo stati letteralmente scandagliati sulla storia di Federico. Nel frattempo, abbiamo fatto volontariato in una casa famiglia, cosa che stiamo portando avanti ancora, per capire che cosa significa avere a che fare con un bambino abbandonato o con un trauma alle spalle. Non è facile, tutto questo. Mi aiutano il mio carattere ottimista e il mio essere sempre positiva davanti alla vita. Non nego che ci sono giorni durissimi. Ma oggi guardo avanti”.

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Qui l’intervista a Nicoletta, un’altra mamma che ha vissuto l’esperienza del lutto perinatale

Il programma di domenica:
15,30 accoglienza e info point
17,30 lancio dei palloncini
19 onda di luce in contemporanea mondiale
Durante il pomeriggio si terrà il laboratorio per bambini “Colora la tua farfalla”