Ha ridotto alla figlia la paghetta perché era fuori corso all’università, lei gli ha fatto causa e il giudice le ha dato ragione. Incredibile vicenda a Pordenone, dove Gino Cecchini, agronomo cinquantanovenne, ha perso sia in primo grado che in appello.
La ragazza lo aveva denunciato perché il padre le dava solo venti euro al mese. Lei, invece, ne voleva oltre 2.500 euro per pagare università, bollette, alloggio, medicinali, svaghi e vacanze.
Il papà, in sede di divorzio, aveva preso l’impegno di provvedere al suo mantenimento. Cosa, secondo la figlia, non rispettata. Ma il padre si è difeso sottolineando che la figlia vive con lui e che le spese mediche, per il carburante e per l’abbigliamento sono già coperte da lui.
Dando ragione alla 26enne, comunque, i giudici hanno ridotto la paghetta a 500 euro al mese. Il padre, a La Repubblica, ha commentato così: “I giudici si sono sostituiti all’autorità del padre, incentivando così mia figlia a non fare niente. Non studia e non lavora. E io la devo comunque mantenere. Vi pare normale?”.
L’uomo ha aggiunto che dopo aver spronato la figlia a studiare o, in alternativa, a lavorare, si è ritrovato con una causa addosso: “Le ho dato tutto, sempre. Ed è stato un errore. Ci facciamo in quattro per fare contenti i figli ma è sbagliato. Devono capire che per avere le cose bisogna guadagnarsele. La Corte poi dimentica che io ho anche un’altra figlia, di 18 anni. Sta per andare all’università a Firenze. Ho un reddito di 20 mila euro l’anno. Se devo darne mille al mese alla figlia fannullona, come faccio a mantenere quella che invece ha voglia di studiare? Questo i giudici non me l’hanno spiegato”.
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