
“Il mio matrimonio è fallito. Ad avere figli ho dovuto rinunciare. Sono 28 anni che sto male di salute. E, per pagarmi visite e cure, ho speso quanto per un appartamento”. M.R. ha 48 anni e vive ad Alfonsine, in provincia di Ravenna. La sua storia inizia nel 1988, quando inizia a stare male, in maniera graduale, dopo il vaccino dell’anti-tetanica e dell’anti-epatite B. Correlazioni che non è in grado di dimostrare ma sulle quali vertono ora tutti i suoi sospetti. Ora è alla ricerca disperata di un centro che possa eseguire una biopsia muscolare per accertare se in lei ci siano tracce di idrossido di alluminio.
Il suo, racconta, è un calvario senza fine da quando aveva solo vent’anni: “Tutto cominciò con una febbriciattola che mi sono portata avanti per vent’anni. E con una candidosi che è durata ininterrottamente per otto. Durante i primi accertamenti fui ricoverata a Lugo per un Herpes virus, poi in Dermatolgia. Risultati anche positiva alla mononucleosi. Intanto, sovraccaricata di antibiotici, anche il mio intestino peggiorava, mentre la stanchezza e i problemi di memoria e concentrazione si aggravavano sempre più, portandosi dietro anche insonnia, vertigini, dolori muscolari e articolari. Senza contare l’intervento alle tonsille, considerate la causa della febbre persistente”.
Un giorno, però, M. si imbatte in un articolo nel quale si parla di Sindrome da stanchezza cronica (Cfs), di cui si occupa il professor Umberto Tirelli: “Nella descrizione della malattia e dei suoi sintomi mi sono riconosciuta in pieno e infatti, durante la visita in Friuli, mi è stata diagnosticata la sindrome, portandomi anche a un ricovero, a una cura a base di integratori e a terapia a base di immunoglobine ad alte dosi, visto che il mio sistema immunitario era sfatto”. Niente da fare, però. Le condizioni di M. non migliorano. Intanto, le viene riconosciuta l’invalidità del 50 percento: “Mal di testa pulsante per mesi, febbre a 38. Dopo gli antivirali e il cortisone, mi sono rivolta a un omeopata, con il quale ho perso solo tempo”.
A Chieti, nel 2005, alla donna viene confermata la diagnosi di Cfs, unita a quella di fibromialgia: “Lì hanno anche scoperto una disfunzione dell’ipofisi, che non produce l’ormone Dhea, che sono costretta a integrare con un farmaco dopante. E hanno trovato anche un’infezione da microplasma nell’uretra. Insomma, un disastro. E dire che, fino ai vent’anni, ero sempre stata in salute, ero una sportiva, mai un problema”. Nel frattempo, M. inizia anche con gli antidepressivi, somministratigli da un neurologo: “Recentemente sono venuta a conoscenza che in Francia, in seguito a 20mila vaccinazioni anti-epatite b, un terzo della popolazione si ammalò di una sindrome infiammatoria autoimmune causata dal l’idrossido di alluminio contenuto nei vaccini e denominata miofascite macrofagica. I sintomi sono gli stesi della Cfs e della fibromialgia e sono assimilabili anche a quelli della cosiddetta sindrome della guerra del Golfo“.
Oggi M. svolge il telelavoro per un ente pubblico, anche se per circa sette anni non ha potuto lavorare: “Non stavo in piedi, ero sempre stanca a dovevo stare a letto. Piano piano mi sono iscritta all’università, mi sono laureata in psicologia e ho vinto il primo concorso. Tre anni fa alcuni fibromi all’utero mi hanno provocato delle emorragie continue, a causa delle quali ho chiesto all’Asl un aggiornamento dell’invalidità, che mi è stata perà confermata al 50 percento. Sono trent’anni che pago tutto, perché la Cfs è una malattia non riconosciuta, come la fibromialgia. L’impatto dei miei problemi di salute sulla mia vita sono stati devastanti. Adesso vivo da sola, continuo a stare male e devo limitare le uscite e il tempo libero per non affaticarmi troppo. Le uniche energie che mi restano le dedico al lavoro, che devo continuare a svolgere perché mi dà da mangiare. Ho sempre in testa il tarlo di quell’esame ma non trovo un centro, in Italia o all’estero, dove poter eseguirlo. Lancio un appello a chi sapesse qualcosa in merito”.
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