Ammaniti: “Le famiglie sono sole. Ma crescere i figli non è impossibile”

www.mondadoristore-1Sigmund Freud lo chiamava il mestiere “impossibile”. Lo psicanalista Massimo Ammaniti ha solo edulcorato i toni. Ne spiegherà il perché domani, quando all’Opificio Golinelli di Bologna (via Paolo Nanni Costa, 14) presenterà il libro “Il mestiere più difficile del mondo (genitori)”, scritto con il giornalista del Corriere della Sera Paolo Conti. L’incontro, dal titolo “Genitori oggi”, è il terzultimo del ciclo “Crescere, che fatica” promosso dalla Fondazione Golinelli insieme ad Aismi (Associazione per la salute mentale infantile).
Professore, qual è la principale difficoltà che oggi i genitori riscontrano nel crescere i figli?
“Oggi si diventa genitori, in genere, dopo i trent’anni, direi nel bene e nel male. Nel bene perché si è più consapevoli, nel male perché si rischia di vivere i figli come l’ultima occasione di realizzazione personale”.
Rischiando che cosa, esattamente?
“Di diventare apprensivi o, più frequentemente, di riversare sui figli se stessi, vivendoli come proiezioni ed estensioni di sé. Peccato che, le aspettative che ci creiamo, non si realizzino quasi mai. E che l’amore, vissuto così, sia narcisistico. E davvero poco funzionale alla crescita”.
Non c’è anche molta solitudine, nelle famiglie?
“Eccome. In passato c’era una sorta di continuità educativa tra la famiglia, la società, la scuola. Oggi non più: gli apparati normativi sono venuti meno e la famiglia, per dirla alla Bauman, è diventata liquida, in qualche modo disorientata”.
Al tempo stesso la famiglia può diventare il capro espiatorio di tutti i mali, quando succedono tragedie come quella di Pontelagorino?
“In seguito a quella vicenda sono stato chiamato a commentare e rilasciare dichiarazioni sui media. Ma dico sempre che giudicare è difficile, che non si hanno abbastanza elementi per capire. E che, in ogni caso, non è detto che i figli di una stessa coppia di genitori siano tutti uguali, tutti forti o tutti fragili. Esistono situazioni di grande vulnerabilità, senza contare che l’adolescenza implica delle trasformazioni importanti a livello cerebrale, con conseguenze anche difficili da affrontare. Insomma, la faccenda è complessa e non è semplice entrare a posteriori negli equilibri di una famiglia”.
Sta facendo molto parlare di sé il libro sul metodo danese per educare i figli. L’empatia, in quel caso, è al centro di ogni discorso e di ogni strategia educativa. Che ne pensa?
“L’empatia è qualcosa di straordinario. Ma non si insegna. L’empatia si apprende vedendola mettere in pratica, avendo genitori attenti nei confronti dei figli, che provano a mettersi nei loro panni, con una risonanza emotiva forte. Solo con l’esperienza la si può acquisire”.
E sulle famiglie, oggi più che mai diverse l’una dall’altra, che giudizio ha?
“La moltiplicazione dei modelli familiari è la nuova frontiera. Tra famiglie ricomposte, monogenitoriali e omoparentali, credo che la differenza la faccia il prendersi cura, il proteggere, l’indirizzare i figli. Cose che possono succedere in qualsiasi configurazione. E che sarebbe bene succedessero. Il resto conta ben poco”.

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