mamma che allatta neonato“Scatto di crescita”. Qualche mamma ne avrà sentito parlare. La maggior parte, invece, secondo la presidente del Gaaf (Gruppo Allattando a Faenza) Raffaella Grillandi, non sa assolutamente cosa sia. E il rischio è quello di abbandonare l’allattamento al seno in una fase precoce che si colloca all’incirca al terzo mese di vita del bambino.
Raffaella, di che cosa si tratta per l’esattezza?
“Intorno al terzo di mese di vita, il bambino ha una maggiore esigenza di latte. Il corpo della mamma, però, ha bisogno di un lasso di tempo che va dai due ai quattro giorni per adattarsi e cominciare a produrre di più”.
Quali sono i segnali?
“Il neonato è più irrequieto, vuole stare continuamente attaccato al seno, sennò piange. Se una mamma non sa cosa sta succedendo, può spaventarsi e andare in crisi”.
Qual è il consiglio che date alle mamme?
“Di tenere il bambino attaccato anche 24 ore, per qualche giorno. Altrimenti, senza l’informazione adeguata dei pediatri, le mamme sono indotte a pensare di avere poco latte. E spesso, mal consigliate, iniziano a dare l’aggiunta di latte artificiale, soprattutto per l’ultima poppata, quella della sera, per indurre il bambino a dormire di più di notte”.
Qual è il rischio?
“Durante la notte si verifica il picco della prolattina: rinunciare a quella poppata può significare diminuire la produzione. Bisognerebbe, invece, tenere duro, sapendo che lo scatto di crescita è una situazione temporanea e gestibile, succede a tutte”.
Ci sono altri “scatti” durante il primo anno di vita del bambino?
“Sì, in genere a venti giorni, quaranta giorni, sei mesi. Ma sono meno evidenti”.
Perché, secondo lei, i pediatri non ne parlano?
“Semplicemente perché un pediatra non per forza è esperto di allattamento. Tre anni fa, al corso sul modello Oms-Unicef organizzato dall’Asl di Ravenna c’erano ostetriche, puericultrici, qualche ginecologo. Ma un solo pediatra”.