Roberto VecchioniOspedale di Ravenna. Sabato pomeriggio di un 27 febbraio bagnato. C’è la pioggia e c’è anche il mago, come disse di se stesso qualche lustro fa. Gli è che si sta un po’ strettini: va bene che tutto è relativo ma quel magna riferito all’aula deve avere un significato culinario, qualcuno s’è pappato lo spazio e le poltrone. Centinaia di persone stanno fitte fitte, tutte per Roberto Vecchioni e la moglie Daria Colombo.

Tanti dentro, altrettanti fuori, sotto gli ombrelli, Anche il sindaco resta escluso e pensa bene di non far valere quel “lei non sa chi sono io” che certi suoi colleghi usano anche per saltare la fila del cesso. A portare il Professore a Ravenna sono stati quei barbari delle Invasioni poetiche: un’associazione che, pensate un po’, tappezza la città di versi e che crede nel potere della cultura. Più pericolosi di Odoacre agli occhi di Romolo Augustolo, insomma.

Livia Santini, il capofai, ha voluto chiamare la rassegna “Rianimazioni letterarie” partendo dal presupposto che in ospedale non è detto che si debba solo soffrire. Si può e si deve sognare: pensare in un momento di debolezza fisica, se non a un mondo, almeno ad una vita migliore. E’ per questo che Vecchioni e consorte sono qui: per portare conforto ai malati con la presentazione dello spettacolo “La forza delle donne”, tratto dal romanzo della stessa Colombo “Alla nostra età, con la nostra bellezza”. Senza dimenticare i ‘sani’, naturalmente.

Maglione color castagna e jeans, Vecchioni è una persona apparentemente dimessa. Un omino che ti aspetteresti al maraffone del sabato sera e invece eccolo là che potrebbe ottenere attenzione, rispetto e silenzio assoluto anche senza microfono. Parla del tempo che emigra (non scompare, possiamo consolarci, semplicemente va altrove e se lo gode qualcun altro: gratis, per fortuna, ed è già molto di questi tempi), cita sant’Agostino sull’inesistenza del presente e spiega che nella sua “concezione verticale” passato e futuro stanno accanto: per dire, i suoi amici li vede sempre giovani e in forma e loro fanno altrettanto con lui. Hic et nunc direbbe il latinorum ma lui se ne guarda bene, l’unica pseudopedanteria filologica se la concede per riprendere bonariamente e con galanteria la moglie che ha appena trasformato Bagnacavallo in Bagnocavallo. Però, in fondo, è la spiegazione erudita, sapete che ha ragione lei?

La Colombo, una donna, per dirla con la sua opera, splendida alla sua età e con la sua bellezza, legge qualche passo del libro. Racconta di un’amicizia fra due donne profondamente diverse che non si incaglia neanche di fronte ad una scelta, l’aborto, che in campi meno nobili, solo a sentirne parlare riesce a far dare alle persone il peggio di loro stesse. Non c’è spazio né per i “valori non negoziabili” degli integralisti cattolici né per “il corpo e mio e me lo gestisco io” delle femministe: slogan e ideologie retrocedono di fronte ad una profonda umanità, un affetto tutto femminile.

Ah, a proposito: occhio ai suffissi. Vecchioni chiarisce che per un uomo essere “femminista” non è altro che una “stronzata”; piuttosto si definisce “femminofilo” e auspica che questa società dia sempre più spazio alle donne ne esalti la sensibilità, l’intelligenza e l’intuito. Tesse l’elogio dell’amicizia che definisce, a sorpresa, perfino superiore all’amore: “Il mondo è pieno di innamorati non corrisposti; provate un po’ invece ad essere amici di uno che non non vi è amico. Non è possibile. L’amicizia ‘si fa’ per forza in due”.

E mentre sei lì che rifletti (“Giusto, perché non ci ho pensato prima? E’ così ovvio. Questa me la rivendo subito”), ti spiazza con una citazione sull’amore che arriva fresca fresca dai lirici greci, quattro secoli avanti Cristo: “Sia che lucente ti veda di neri capelli signora, sia che bionda di chiome ti riveda, pari ne sfolgora sempre la grazia e se fossero bianchi abiterebbe in quei capelli amore”. In quel momento realizzi che figata deve essere stata ritrovarsi suo alunno al classico e capisci anche che certe riflessioni hanno la circostanza e la persona adatte: le stesse parole in bocca a qualche avventuriero dei sentimenti o buttate su quell’enorme bacio Perugina interattivo che è Twitter fanno semplicemente pietà.

Poi imbraccia Madame Guitar (mai sentito il Prof che interpreta ‘sto pezzo di Endrigo? Assieme alla sua versione di Hotel Supramonte di De André gli meriterebbe il primo premio come ‘cover man’ della canzone d’autore) e attacca Le mie ragazze, Sogna ragazzo sogna e Luci a San Siro. E’ l’apoteosi sussurrata, l’orgasmo acustico, il momento dell’eucarestia. A volerla declinare in maniera multiculturale si potrebbe azzardare che quest’uomo, studioso di religioni, scrittore e interprete di Samarcanda, ha il karma: molte donne piangono, un paio di assessoresse hanno il groppo in gola e anche qualche uomo è lì lì per. Chiamalo ancora amore.