“Era mia figlia, all’inizio, a prendersi cura di me. Quando ho dovuto iniziare a fare la mamma sul serio, non sapevo da che parte cominciare: non riuscivo a dimostrarle il mio affetto, mettevo a tacere i suoi capricci accontentandola sempre, non ero in grado di darle regole”. Romina torna spesso a Luna Stellata, la comunità terapeutica per mamme tossicodipendenti di Piacenza dove è stata ospite per tre anni con sua figlia Sofia, che oggi ha sei anni. Le operatrici l’accolgono sempre a braccia aperte, anche perché Romina è una di quelle che ce l’ha fatta, che il suo passato l’ha buttato alle spalle, spera per sempre.
Ventott’anni, lombarda, Romina è cresciuta in una famiglia in cui la madre era succube del padre: “Lui alzava le mani con lei ma anche con me e i miei tre fratelli più grandi. Sono diventata adulta da sola, senza una guida, senza un punto di riferimento, lasciata a me stessa, con gli occhi pieni di violenza”. A quattordici anni Romina prova l’eroina. Un inizio che è già la fine: “La dipendenza l’ho avvertita subito. Per un periodo di qualche mese, più avanti, sono riuscita a smettere. Ma poi ho conosciuto un uomo tossicodipendente di vent’anni più grande di me che mi ha trascinata di nuovo nel baratro. Finché sono rimasta incinta”.
L’inizio della gravidanza non è dei migliori. Lui le chiede di abortire ma lei, che non se la sente, fugge per il primo trimestre da sua madre. Poi torna indietro, i due decidono di riprovare: “Mentre aspettavo Sofia non mi sono mai drogata. L’astinenza la sentivo ma lei mi dava la spinta per non cedere. Il mio compagno, invece, non ce la faceva. Il giorno che ho partorito è arrivato in ospedale completamente fatto. Una possibilità gliel’ho data ma lui ha iniziato a mettermi le mani addosso e lì ho capito che non si poteva continuare”.
Romina prova a gestire la bambina con l’aiuto della madre ma il senso di vuoto non la abbandona e inizia a bere, “forse per dimenticare l’eroina”. Dopo un periodo di disintossicazione il Sert le propone la comunità e lei accetta: “Volevo dimostrare che Sofia poteva restare con me, volevo scongiurare il pericolo che me la togliessero. Un lavoro difficilissimo su me stessa: quando sono entrata a Luna Stellata ero aggressiva, litigiosa, mi ribellavo alle regole e agli orari. Piano piano, però, sono stata aiutata a prendere fiducia in me stessa, ho iniziato a capire che la svolta, per me, poteva arrivare solo stando qui dentro, accettando il sostegno che mi veniva offerto”.
A Sofia, Romina, nel tempo ha raccontato tutto, con le parole e i toni giusti: “Mia figlia è intelligente, capisce se le stai dicendo una bugia, ti chiede sempre di ripetere tre volte la stessa spiegazione dei fatti per vedere se cambi versione. Di me sa che prendevo delle cose che mi facevano stare male e che mi impedivano di giocare con lei. Di suo padre sa che ha fatto un’altra scelta, che ha deciso di non farsi aiutare. E quindi non la può vedere più, visto che gli hanno tolto la patria potestà”.
Romina da un anno e mezzo ha una relazione con un ragazzo che Sofia chiama papà. Lavora in una casa famiglia. I suoi genitori li vede di rado. Sa che la strada per essere la mamma che vorrebbe è ancora lunga, perché sua figlia è cresciuta senza troppe regole: “Io non ho avuto alcun esempio durante la mia infanzia. Ed esserlo per lei non è semplice. Ogni giorno imparo a darle amore, ad essere quella che dice no quando è no. Quando sono arrivata a Luna Stellata non sapevo nemmeno cosa fosse il rispetto, né per me stessa, né per gli altri. Qui dentro mi pesava tutto, mi lamentavo sempre. Solo oggi, con il senno di poi, capisco che l’esperienza qui dentro mi ha cambiato la vita. Se non fossi venuta qui, ne sono certa, sarei ancora per strada a farmi di eroina“.
Per leggere le altre puntate del nostro viaggio dentro Luna Stellata clicca qui per la storia di Francesca, fumatrice di eroina; e qui per quella di Regina, ex alcolizzata.
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