Quando entra in classe Franco Lorenzoni canta. E con lui cantano i bambini: perché non c’è modo migliore per ascoltarsi, dar forza al respiro, creare un bel clima, diffondere energie. Nozioni, lezioni, cattedre ed esercizi non sono il nocciolo della scuola per il maestro di Giove (Terni) che oggi alle 17,30 alla Biblioteca Malatestiana di Cesena sarà ospite del festival Puerilia per l’incontro “Bambini che pensano, leggono, narrano tanto”. Al suo fianco Roberta Passoni, anche lei maestra elementare e altra colonna della casa-laboratorio di Cenci ad Amelia, nonché autrice di “A partire da un libro” (edizioni Junior). E anche Céline Le Roux, fondatrice del festival di Lione “Micro Mondes”.
Franco, dei bambini si pensa spesso siano esseri minuscoli, senza facoltà di pensiero. Lei, questa concezione, la ribalta da sempre: in che modo?
“I bambini hanno sempre moltissime cose da raccontare, soprattutto quando entrano in classe. Se c’è qualcuno che li ascolta, che dà loro il diritto di parola e valorizza il loro pensiero, propongono al gruppo saperi inediti. A quel punto il dialogo e lo scambio reciproco diventano il terreno privilegiato per apprendere”.
Quanto tempo occorre per fare sentire i bambini così importanti, così riconosciuti nel loro sentire ed esprimersi?
“Si tratta di un lavoro lungo e lento. Io ci metto in genere tre anni per costruire quello che chiamo il tessuto narrativo della classe, quel posto in cui gli alunni capiscono che ad ascoltarsi reciprocamente ci si arricchisce”.
Quanto conta l’insegnante, nel favorirlo?
“L’insegnante fa sempre da esempio, nel bene e nel male. Se ascolta davvero, i bambini se ne accorgono. E fanno loro la stessa modalità”.
Che cosa cantate, insieme, in classe?
“In genere canzoni africane o in lingue di cui non capiamo le parole. L’importante è il suono. I popoli orali hanno sempre basato la maggior parte delle conoscenze sulle sonorità. Quando facciamo esperienza, componiamo sempre un testo da cantare. Un esempio? La vendemmia. Cantarla serve a fissarne il ricordo”.
Lei insegna dal 1978. Non ci si assuefa mai?
“A me non è successo, merito anche della pausa di tre anni che ho preso per lavorare ai progetti del Movimento di Cooperazione Educativa. In ogni caso i bambini sono diversi tra loro, le modalità di dialogo che si instaurano idem. Stare con loro è una continua novità”.
Il suo metodo viene capito dai genitori?
“Ci vuole tempo per spiegarlo, per dimostrarne i vantaggi. Ma alla fine l’entusiasmo c’è. Se le famiglie capiscano quanta passione e devozione c’è in un insegnante, tutto fila liscio. Chiaro, poi, che c’è sempre l’eccezione alla regola”.
E i bambini, come apprezzano?
“I bambini capiscono il valore di tutto questo nella restituzione. Se ridiamo loro quello che hanno pensato, mostrano una gratitudine enorme. Adesso, per esempio, con la mia seconda sto allestendo una mostra con le composizioni artistiche realizzate in questi due anni. Per loro, riguardare quello che hanno creato è importantissimo. In un mondo veloce, dove tutto è usa e getta, valorizzare qualcosa che resta nel tempo è fondamentale. Io credo molto alla durata”.
Nel libro “I bambini pensano in grande” lei definisce il suo metodo pedagogico con la frase “provare da dare forma al mondo”. Che cosa significa?
“Tutti gli apprendimenti hanno a che vedere col dare forma al mondo: studiare matematica, scienze, italiano, inglese sono modi diversi per farlo, diverse angolature da cui guardare le cose. In questo senso la scuola primaria è fondamentale: lì tutto avviene per la prima volta. Se quando incontri una conoscenza per la prima volta l’emozione che l’accompagna è positiva e forte, ti porterai dietro quell’amore tutta la vita. Io sono stato fortunato, ho avuto insegnanti illuminati. Con la mia prof di matematica delle medie sono rimasto amico per anni. Lei è morta a cent’anni, non la scorderò mai”.
Qui il sito di Cenci casa-laboratorio
Qui sotto un assaggio del documentario di Franco Lorenzoni “Elementare”
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