affido, adozioneBimbi che aspettano una famiglia. Ma che spesso finiscono in un istituto, in una comunità. I motivi sono molti, spesso s’intrecciano. Ma Chiara Scivoletto, docente di Sociologia del diritto e della devianza all’Università di Parma e autrice del libro “Il tempo e la fiducia. L’affido eterofamiliare del minore” (Carocci), un’idea ce l’ha.
Professoressa, anche a Ravenna e a Lugo, come in altre realtà, i servizi stanno rilanciando il tema dell’affido. Cosa impedisce che attecchisca?
“I problemi sono molti, a partire dalla spesso poco efficace comunicazione tra servizi sociali e magistratura. Un esempio? Magari i servizi dicono che il ragazzino può tornare dalla mamma ma il tribunale, oberato da mille pratiche, dà l’ok quando ormai è troppo tardi e non ci sono più le condizioni per procedere. Linguaggi diversi e percorsi di formazione diversi complicano non poco le cose”.
C’è anche una scarsa vocazione da parte delle famiglie?
“Certo. Le famiglie oggi sono nucleari, disarticolate, fanno fatica a provvedere ai propri, di figli. Perciò accettano la sfida dell’affido solo se spinte da forti motivazioni personali o di coppia, spesso scelte legate ad un sentimento religioso. Una volta le vecchie famiglie allargate provvedevano tanto alla zia zitella quanto al figlio del parente scomparso prematuramente, oggi non più. Senza contare che l’affido non gode di un riconoscimento sociale elevato. Se ne parla, viene promosso: ma le famiglie ne intravedono tutti i limiti”.
Per esempio?
“Il tempo. La legge dice che l’affido deve durare al massimo due anni, salvo che non si decida diversamente nel superiore interesse del minore. Invece vediamo sempre più spesso affidi sine dia, che durano un tempo illimitato, fino alla maggiore età”.
La burocrazia spaventa?
“Da un lato è una garanzia della correttezza delle procedure, dall’altra andrebbe resa più fluida, snella. Per non parlare dei cosiddetti affidi a rischio giuridico, che rappresentano una vera e propria zona d’ombra, un limbo: la famiglia affidataria entra in una sorta di pre-adottività, sa che un giorno potrà arrivare all’adozione vera e propria ma allo stesso tempo è al corrente del ricorso presentato dalla famiglia naturale. Situazioni sospese, al massimo dell’incertezze, in cui stabilire una relazione si fa più che mai complesso”.
Quanti sono gli affidi giudiziali, sul totale?
“In Italia sono il 71%, contro il 29% costituito dagli affidi consensuali. Dati che la dicono lunga sulla grossa scommessa in atto, anche in termini psicologici. L’affido è davvero un’avventura. Ecco perché i minori affidati vivono nel 50% dei casi in comunità. Peccato: un papà e una mamma sono sempre meglio degli operatori sociali, per quanto questi ultimi possano essere bravi e organizzati”.